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Anfiteatri

Pozzuoli, realtà quasi unica nel panorama delle città romane, tra i suoi monumenti vanta ben due anfiteatri. Il maggiore, in via Anfiteatro, fu costruito in età flavia, quando, evidentemente, per volontà di Vespasiano la città venne ingrandita con concessioni territoriali. Altri studiosi ritengono, invece, che l’opera sia stata realizzata per volere di Nerone, volutamente dimenticato.

Anfiteatro minore: Un anfiteatro più antico venne scoperto durante i lavori per la realizzazione della Ferrovia Roma-Napoli, in via Solfatara, ad un centinaio di metri ad est rispetto a quello flavio. L’edificio, incassato nella collina, era piuttosto piccolo e probabilmente per tale ragione sostituito; il monumento non è visitabile e oggi, dell’antica cavea, tagliata letteralmente in due dalla linea ferroviaria, restano soltanto alcune strutture visibili poco prima della stazione di Pozzuoli  e, dalla via Vigna, un tratto basolato dell’antica strada, resti di alcune murazioni in “opus reticolatum”.
Il monumento è stato datato ad età repubblicana, intorno alla fine del II sec.a.C., e lo studio delle cortine murarie ha permesso di sapere che fu restaurato più o meno un secolo dopo. I due anfiteatri vennero dunque utilizzati contemporaneamente a testimoniare così l’importanza dell’antica Puteoli, raro caso di centro che poteva vantare due edifici di spettacolo di questo tipo.

L’Anfiteatro Flavio

Dopo il Colosseo di Roma e l’Anfiteatro di Capua, l’Anfiteatro Flavio di Pozzuoli, situato presso il Corso Terracciano, è la terza arena d’Italia per dimensioni (149×116). Di pianta ellittica, poteva ospitare fino a 40.000 spettatori in tre livelli di gradinate e fu costruito (dagli stessi architetti che edificarono il Colosseo) nella seconda metà del I secolo d.C. per fronteggiare l’incremento demografico di Puteoli, che aveva reso insufficiente la precedente struttura adibita agli spettacoli pubblici durante l’età repubblicana. Si pensa che i lavori di questo anfiteatro (terminati sotto la dinastia della gens Flavia dall’imperatore Vespasiano) siano stati iniziati da Nerone che fino alla sua morte (avvenuta nel 68 d.C.) soggiornava spesso a Pozzuoli e che qui realizzò tanti progetti tra cui il canale navigabile tra Pozzuoli e Roma. Gli spettacoli che si effettuavano in questa enorme arena erano siano combattimenti tra gladiatori sia cacce agli animali (tigri, leoni e giraffe). In questo stesso anfiteatro, nell’aprile 305, durante le persecuzioni ordinate da Diocleziano contro i cristiani, San Gennaro ed altri sei martiri (Procolo, Festo, Desiderio, Sossio, Eutiche ed Acuzio) furono condannati ad essere sbranati dalle belve, pena poi tramutata nella decapitazione, avvenuta a poca distanza, nei pressi della Solfatara. Secondo la leggenda, tuttavia, i leoni si ammansirono di fronte alla santità di Gennaro, vescovo di Benevento: scena ritratta da Artemisia Gentileschi su di una tela esposta nella Cattedrale del Rione Terra.
A ricordo della loro permanenza nell’anfiteatro, la cella dove i sette martiri furono rinchiusi prima dell’esecuzione della condanna ad bestias, divenne una cappella dedicata al culto dei santi lì imprigionati, soprattutto a quello di San Gennaro, al quale è stata intitolata; ciò è testimoniato da due lapidi poste al suo ingresso. Essa fu decorata con un altare maiolicato e una statua in ceramica raffigurante i santi Gennaro e Procolo che si abbracciano.
L’arena vera e propria (75x42m), alla quale si accedeva attraverso quattro ingressi principali e dodici secondari, è traforata da una serie di botole quadrangolari, collegate ai sotterranei, attraverso le quali le gabbie con le belve venivano issate, durante i ludi gladiatori. Il piano era attraversato, lungo l’asse est-ovest, da una profonda fossa lunga 45 metri, che scendeva sino ai sotterranei, posti ad una profondità di circa sette metri; coperta con tavole di legno, durante i giochi da essa venivano sollevate le scenografie o altro materiale necessario per gli spettacoli.
Un poderoso impianto di smaltimento delle acque raccoglieva le acque reflue, ed era collegato all’acquedotto del Serino, altra grande impresa augustea che portava l’acqua dai monti dell’avellinese sino ai Campi Flegrei, per poi terminare nel grande recapito finale della Piscina Mirabilis. Il collegamento era necessario per allagare i sotterranei dopo gli spettacoli, garantendone la pulizia. Non è credibile invece l’ipotesi che il collegamento con l’acquedotto fosse stato studiato per consentire lo svolgimento di naumachie (battaglie navali) all’interno dell’Anfiteatro.
Nel ‘700, Carlo di Borbone, dopo secoli di declino e di spoliazioni, ordinò che i marmi e le statue dell’Anfiteatro fossero prelevati per abbellire la Reggia di Caserta ed infatti 12 colonne del teatrino provengono da Pozzuoli. Per fortuna la grandiosa costruzione fu salvata da un evento naturale che la ricoprì di terreno e di vegetazione. Con il re Ferdinando II di Borbone nel 1839 si inizia a lavorare per togliere il terreno e solo cento anni dopo, nel 1947, in seguito ad una campagna di scavi, l’archeologo Amedeo Maiuri lo libererà e ci restituirà l’anfiteatro come lo vediamo oggi.

L’Anfiteatro Flavio (english version)

After the Colosseum in Rome and the Amphitheater in Capua, the Flavian Amphitheatre of Pozzuoli, located in Corso Terracciano, is the third largest arena in Italy (149×116). With an elliptical plan, it could accommodate up to 40,000 spectators in three levels of steps and was built (by the same architects who built the Colosseum) in the second half of the 1st century A.C. to cope with the demographic increase of Puteoli, which made inadequate the previous structure used for public entertainment during the Republican age. It is thought that the works of this amphitheater (finished under the dynasty of the Flavian gens by the emperor Vespasian) were started by Nero who often stayed in Pozzuoli until his death (which occurred in 68 A.C.) and who carried out many projects here including the navigable canal between Pozzuoli and Rome. The shows that took place in this huge arena were both gladiator fights and animal hunts (tigers, lions and giraffes). In this same amphitheater, in April 305, during the persecutions ordered by Diocletian against Christians, San Gennaro and six other martyrs (Proculus, Festus, Desiderius, Sossio, Eutiche and Acuzio) were condemned to be torn to pieces by beasts, a sentence later changed in the beheading, which took place a short distance away, near the Solfatara. According to legend, however, the lions tamed themselves in front of the sanctity of Gennaro, bishop of Benevento: a scene portrayed by Artemisia Gentileschi on a canvas exhibited in the Cathedral of Rione Terra.
In memory of their stay in the amphitheater, the cell where the seven martyrs were imprisoned before the execution ad bestias became a chapel dedicated to the cult of the saints imprisoned there, especially of San Gennaro, to whom it was dedicated; this is testified by two plaques placed at its entrance. It was decorated with a majolica altar and a ceramic statue depicting the saints Gennaro and Procolo embracing.
The arena itself (75x42m), which was accessed through four main entrances and twelve secondary ones, is pierced by a series of quadrangular trapdoors, connected to the basements, through which the cages with the beasts were hoisted during the gladiatorial games. The plain was crossed, along the east-west axis, by a deep pit 45 meters long, which descended to the basement, located at a depth of about seven meters; covered with wooden planks, during the games the sets or other material necessary for the shows were lifted from it.
A mighty water disposal plant collected the wastewater, and was connected to the Serino aqueduct, another great Augustan enterprise that brought water from the Avellino mountains to Campi Flegrei, to then end in the great final delivery of the Piscina Mirabilis. The connection was necessary to flood the basement after the shows, ensuring its cleanliness. However, the hypothesis that the connection with the aqueduct was designed to allow naumachie (naval battles) to take place inside the amphitheater is not credible.
In the 18th century, Charles of Bourbon, after centuries of decline and plundering, ordered that the marbles and statues of the Amphitheater be taken to embellish the Royal Palace of Caserta and in fact 12 columns of the theater come from Pozzuoli. Fortunately, the grandiose construction was saved by a natural event which covered it with soil and vegetation. With King Ferdinand II of Bourbon in 1839 work began to remove the ground and only one hundred years later, in 1947, following an Excavation campaign, the archaeologist Amedeo Maiuri freed it and gave us back the amphitheater as we see it today.

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